FRANCESCO MINÀ PALUMBO

 

...Egli era il veterano dei naturalisti siciliani ed appartenne a quella generazione dei Tineo, dei Parlatore, dei Todaro che al sorgere delle nuove idee, quali astri luminosi, tanta luce e risveglio portarono alle scienze naturali...
Luigi Failla Tedaldi

 

Francesco Minà Palumbo


Figlio di artigiano, passa l'infanzia a Castelbuono e lì riceve i primi insegnamenti. I suoi educatori non sono conosciuti, e poco si sa anche della sua vita privata e della famiglia che, seppure modesta è certamente di elevati principi.

Non è noto neppure come giunga a Palermo per studiare medicina alla Regia università. Qui, in compagnia di Agostino Todaro, Giuseppe Inzenga, Filippo Parlatore, Enrico Piraino di Mandralisca, Pietro Calcara e altri valenti studiosi, frequenta la scuola botanica di Vincenzo Tineo presso l'Orto botanico e di altri illustri studiosi come Domenico Scinà.

Diventa medico e nel 1835 e si trasferisce a Napoli per conseguire una specializzazione.

Nella capitale del Regno conosce i botanici Giovanni Gussone e Guglielmo Gasparrini, Oronzio e Achille Costa, padre e figlio, e altri valenti studiosi dai quali apprende le innovazioni scientifiche. Nel periodo napoletano acquisisce la tecnica tassidermica e quella iconografica.

Nel 1835 esegue le illustrazioni per i funghi del Regno di Napoli, rara opera di Vincenzo Briganti pubblicata postuma dal figlio Francesco. Grazie a ciò, forse, riesce a mantenersi nella capitale borbonica.

Rientra a Castelbuono poco tempo dopo e lì avvia l'opera incentrata nello svolgimento della professione di medico e naturalista volto a studiare e a far conoscenere il patrimonio delle Madonie, allora ancora sconosciute. La costanza in queste attività sarà la nota caratterizzante della sua vita.

Muore il 12 marzo 1899 in fama di filantropo per Castelbuono e per le Madonie e di studioso e divulgatore della storia naturale dei suoi monti per il mondo.


Nomi di specie e generi nell’ambito della botanica, zoologia e paleontologia dedicati al Minà


Piante: Scirpus minae Tod., Geramium minae Tineo, Campanula minae Strobl, Silene minae Strobl, Viola minae Strobl, Calamnintha minae Lojac., Quercus minae Lojac.,Trifolium minae Lojac., Dianthus minae Mazzola, Raimondo, Ilardi.

Molluschi fossili: Buccinum minae Calcara, Cassidaria minae De Gregorio.

Insetti: Leucopis palumbai Rondani, Palumbia terebintella Rondani, Pempelia palumbiella Rondani, Zeuxia palumbii Rondani, Ischnus minai T. De Stefani.

Il medico


Laureatosi a Palermo e specializzatosi a Napoli, nel 1837 ventitreenne iniziò a esercitare la professione di medico che, in un piccolo centro montano della Sicilia ottocentesca, copriva ambiti sanitari ben più vasti del previsto.  Così, dopo un avvio più o meno ortodosso, testimoniato da alcune pubblicazione di stretto carattere medico, Minà Palumbo si ritrovò ad avere cura della salute di uomini, animali e piante, sia di Castelbuono che della campagna settentrionale delle Madonie.  Nel paese resse per vari decenni l'ospedale di S. Antonio, dove da secoli venivano a ricevere le ultime assistenze malati poveri di tutta l'isola. Inoltre, era il medico delle più importanti congregazioni religiose di Castelbuono.  In quanto al modo di curare i pazienti, uomini, animali o piante che fossero, una lettera del sacerdote Giuseppe Matassa fa comprendere la grande umanità del personaggio. 

Il naturalista


La figura del Minà Palumbo naturalista emerge alquanto precocemente, sebbene con gradualità.  Mentre era a Napoli, nel 1835, si impegnò a raccogliere piante madonite per il grande botanico Giovanni Gussone per averne in cambio l'identificazione esatta.  Poco dopo, nel 1839, il suo grande amico e compagno di studi Filippo Parlatore, futuro fondatore dell'Erbario centrale di Firenze, visitò le Madonie dal versante di Castelbuono insieme con Carlo Heldreich e subito dopo partì per Napoli alla volta della Francia e di Firenze.  Fu forse questa visita a risvegliare gli interessi di Minà Palumbo per gli studi floristici e soprattutto faunistici, mai sopiti prima e sempre più intensi negli anni successivi.  Sono gli stessi anni in cui Minà Palumbo produceva le prime tavole iconografiche alla cui realizzazione veniva incoraggiato da Vincenzo Tineo, suo primo maestro.  Nel 1843 la pubblicazione dell'opuscolo "Introduzione alla Storia naturale delle Madonie" consacrava il Minà quale cantore della natura nebrodense. 

Il filantropo


Probabilmente in passato non era facile distinguere fra un medico e un filantropo, visto che l'attività di entrambi era rivolta al benessere altrui.  Testimonia questo duplice e indivisibile aspetto della personalità di Minà Palumbo una lettera del Sacerdote Giuseppe Matassa che lo ringrazia sia per essere stato guarito che per l'assistenza ricevuta.  Espressioni di schietta filantropia sono le frequenti elargizioni a singoli bisognosi e alle congregazioni castelbonesi che egli stesso assistiva. Segno di costanza umanitaria era l'annuale ripetersi dell'offerta della manna raccolta nei primi di settembre da un gigantesco frassino che vegetava accanto alla cassa di campagna (in contrada Bergi) al comitato per i festaggiamenti del SS. Crocifisso.  Il "Frassino del Crocifisso" vegeta ancora in tutta la sua imponenza ed è stato annoverato fra le piante monumentali delle Madonie.  Il più grande riconoscimento umanitario gli viene però dai tributi ricevuti in vita più che da morto.  Una simpatica testimonianza di ciò che Minà Palumbo rappresentava per la comunità castelbonese si trova in alcuni versi che certo Santo Meli gli dedicò in siciliano quando lo studioso era già molto avanti negli anni. 
  • 10 marzo 1814

    CASTELBUONO nascita di Francesco Minà Palumbo. 
  • ante 1835

    PALERMO F. Minà Palumbo studia medicina a Palermo ;
    Frequenta la scuola di Vincenzo Tineo nell’orto botanico di Palermo con Agostino Todaro, Filippo Parlatore, Giuseppe Inzenga, e altri studiosi con cui mantiene salda amicizia.
  • 1835

    Dopo quasi due anni trascorsi a Napoli per approfondire gli studi medici e naturalistici, rientra a Castelbuono. Nella capitale aveva conosciuto Giovanni Gussone, Oronzio e Achille Costa divenendone corrispondente, e inoltre anche Gasparrini e Francesco Briganti per conto del quale disegnò i funghi del Regno di Napoli.  Dopo il periodo napoletano il giovane Minà inizia l'esplorazione sistematica delle Madonie e avvia una fitta corrispondenza con gli studiosi italiani ed europei. 
  • 1878

    ADMONT. Gabriel Strobl pubblica, a puntate e in tedesco, la "Flora der Nebroden" basata principalmente sullo studio dell'Erbario di Minà Palumbo. 
  • post 1880

    CASTELBUONO intitola una delle sue piazze principali a Francesco Minà Palumbo. 
  • 13 marzo 1899

    CASTELBUONO. Muore compianto da tutta la comunità locale e da quella scientifica. 
  • 1949

    Nel cinquantenario della morte dello studioso la Comunità castelbuonese appone una lapide al muro della casa del naturalista. 

APPROFONDIMENTI

ALBERO GENEALOGICO MINÀ
BIBLIOGRAFIA SU MINÀ
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LO STUDIOSO E I RAPPORTI CON CASTELBUONO E LE MADONIE
  Lo studioso e i rapporti con Castelbuono e le Madonie.   Che relazioni c'erano fra Francesco Minà Palumbo e la comunità castelbonese?   In tempi in cui l'analfabetismo imperava, certamente lo studioso non poteva essere compreso se non da pochissimi esponenti della cultura locale. Il resto dei castelbonesi lo accettava semplicemente nella sua diversità di medico e filantropo, per la quale lo ammirava e sosteneva.   Questo iniziale approccio positivo permise al personaggio di studiare gli uomini e le cose, sia artificiali che naturali del suo paese, e di creare il museo. L'esplorazione del territorio fu infatti condotta nel contesto di un generale consenso grazie al quale lo studioso potè organizzare una vera e propria rete di raccoglitori di cui si avvalsero anche gli esponenti della comunità scientifica del tempo.   Per altro, il segno più evidente di ciò che lo studioso rappresentava per Castelbuono si coglie nei tributi come l'intitolazione di una piazza mentre era in vita e più recentemente di scuole, lapidi, oltre alle manifestazioni in suo onore nel centenario della sua morte.   Lievemente diversa fu la posizione del personaggio nel contesto madonita perché i contatti si stabilirono con gli elementi di maggiore spicco culturale. Intorno al 1850, infatti, sulle Madonie esisteva un sodalizio culturale costituito da Piraino di Mandralisca di Cefalù, Carmelo Virga di Isnello, i Carapezza di Petralia e Minà Palumbo di Castelbuono come punto di riferimento. La preminenza di Minà emerge progressivamente attraverso i ruoli culturali e scientifici svolti in rappresentanza del territorio.   Oggi l'importanza del personaggio nel contesto territoriale non è scemata. Infatti, emerge chiaramente che i suoi studi possono essere riguardati come gli eventi primari che hanno portato alla realizzazione del Parco delle Madonie.                 Apparentemente per Minà Palumbo fu relativamente facile entrare a far parte della comunità scientifica italiana, una cerchia confinata entro limiti culturali e sociali funzionanti quasi come barriere.   La via d'accesso fu segnata dall'appartenenza alla scuola di Vincenzo Tineo, della quale facevano parte elementi quali Agostino Todaro (successore di Tineo nella direzione dell'Orto botanico), Giuseppe Inzenga (Direttore dell'Istituto agrario Castelnuovo), Enrico Piraino di Mandralisca (nobile cefaludese) e soprattutto Filippo Parlatore (fondatore dell'Erbario centrale di Firenze). Dopo il rientro a Castelbuono i contatti con la comunità scientifica furono stabiliti attraverso i i suoi compagni e lo stesso Tineo, che probabilmente lo presentò a Gussone. D'altro canto Parlatore, giunto a Firenze, attivò una serie di contatti volti appunto a valorizzare il personaggio Minà e la sua posizione strategica alle falde delle Madonie.   Da questo punto di partenza lo studioso madonita riuscì a erigere il suo piccolo regno rappresentato dalle collezioni sempre più voluminose e dal corredo di strumenti indispensabili allo studio dei reperti.   Per realizzare la biblioteca, cercò con tutti i mezzi di far parte delle accademie italiane più accreditate e per classificare i propri reperti, li spedì agli studiosi di mezza Europa ottenendo in cambio la corretta identificazione. In tal modo diveniva possibile lavorare senza laboratorio. Ed in tal modo gradualmente si creò la rete di circa 350 corrispondenti scientifici da tutta la Sicilia oltre che dall'Italia e da vari paesi europei.   La mappa delle città d'origine della corrispondenza illustra efficacemente la situazione.   Relativamente alla stima goduta presso gli studiosi in questione è sufficiente fare riferimento ai tributi che gli conferì la comunità stessa. Fra questi si ricorda la medaglia galileana che il Duca Leopoldo di Toscana dedicò al Minà che aveva spedito migliaia di campioni vegetali ed animali ai musei fiorentini della Specola e dell'Erbario centrale.   "La dimensione di un personaggio il cui nome rimane segnato nel tempo è data anche dall'universalità del riconoscimento. Uomini passati alla storia per le loro gesta o per il campo di azione in cui eccellevano sono spesso apprezzati solo nella ristretta cerchia specialistica e rimangono sconosciuti al resto del mondo." Francesco Minà Palumbo, al quale da vivo pervennero riconoscimenti sia dal mondo scientifico che dalla comunità del suo paese, Castelbuono, rappresenta uno dei rari casi di profeti accettati in patria. Infatti se gli uomini di scienza non lesinarono di dedicargli i nomi di molte nuove piante e animali (2 generi e 18 specie), i castelbonesi ebbero per lo studioso una vera e propria venerazione. Ancora si dice che il funerale, iniziato la mattina, si concluse a tarda sera perché tutti i castelbonesi vollero dare l'estremo saluto al padre di tutti, 'u Nunnu'.
FRANCESCO MINÀ PALUMBO su TRECCANI

MINÀ PALUMBO, Francesco

di Orazio Cancila - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 74 (2010)


MINÀ PALUMBOFrancesco. – Nacque nel 1814 a Castelbuono, nell’entroterra di Cefalù, da Antonino Minà, falegname venticinquenne, e dalla sedicenne Teresa Palumbo, cugini entro il quarto grado; fu battezzato il 10 marzo col nome di Francesco Vincenzo, che ricordava quelli dei nonni, il defunto mastro Francesco Minà e mastro Vincenzo Palumbo. Castelbuono, centro rurale alle falde delle Madonie, contava circa 7000 abitanti e si era appena liberato del plurisecolare vassallaggio verso la potente famiglia dei Ventimiglia, marchesi di Geraci e principi di Castelbuono, grazie all’abolizione della giurisdizione feudale nel 1812. I Minà dovevano essere artigiani agiati da più generazioni e in forte ascesa economica e sociale, se il nonno Francesco nel 1764 aveva potuto costruire un sepolcreto familiare in una chiesa locale – segno di distinzione che consentiva di sfuggire alla fossa comune – e più tardi aveva sostenuto le spese per la laurea di un figlio, Angelo, e l’ordinazione sacerdotale di un altro, Emanuele, che al fonte battesimale fu padrino del Minà Palumbo. Lo stesso mastro Antonino era capace di leggere e scrivere. La presenza di un sacerdote in famiglia era di per sé indice di agiatezza, perché solo le famiglie benestanti potevano permettersi la costituzione del patrimonio necessario per l’accesso di un figlio in seminario. Nel clero secolare non c’era infatti spazio per i figli dei poveri, per i quali erano aperti soltanto i conventi degli ordini monastici, peraltro fortemente diminuiti dopo le soppressioni degli ultimi decenni del Settecento. L’ordinazione sacerdotale di don Emanuele era costata alla famiglia Minà ben 350 onze, su un patrimonio valutato nel 1803 in 1273: mastro Francesco evidentemente disponeva di diverse fonti di entrata, tra le quali sicuramente il lavoro di artigiano non era la più importante. Anche i Palumbo erano benestanti, forse più dei Minà, e anche Teresa aveva un fratello sacerdote, il canonico don Domenico, che – più che lo zio Emanuele – fu guida e primo maestro del piccolo Minà Palumbo. Nella Castelbuono del tempo, come altrove in Sicilia, all’origine dell’ascesa sociale ed economica di una famiglia c’era quasi sempre il servizio nell’amministrazione baronale o l’aiuto determinante di un parente sacerdote. Il passaggio di un membro di famiglia artigiana di «mastri» o di basso ceto al mondo delle professioni, quello dei «don», era infatti molto spesso mediato dalla presenza nell’ambito familiare di un sacerdote. Così accadde anche per il M., futuro medico e, in quanto tale, anche «don» Francesco. Con due zii sacerdoti il suo destino era segnato: sarebbe stato medico e non giurisperito, perché per i figli di artigiani di paese che accedevano all’università, senza quindi una tradizione familiare nel mondo delle professioni, la carriera di medico si presentava molto più agevole di quella di avvocato, anche perché aveva il vantaggio di poter essere esercitata nel paese natio. Dell’istruzione del M. si occupò privatamente lo zio don Domenico e forse anche un altro sacerdote, don A. Mogavero. È molto probabile che la passione del M. per la botanica risalga a quegli anni, favorita dalla presenza in paese del belga Maurimon, che curava per conto della famiglia Turrisi (quella della poetessa Giuseppina Turrisi Colonna, allieva di G. Borghi, e dell’economista agrario Nicolò Turrisi Colonna, poi senatore del Regno e più volte sindaco di Palermo) l’orto dell’ex convento dei domenicani («delizia di flora») nel quale condusse i suoi esperimenti botanici. Il M. si iscrisse alla facoltà di medicina di Palermo, dove conobbe F. Parlatore, più giovane sebbene più avanti negli studi, cui rimase sempre legatissimo, che riforniva costantemente di piante e al quale fece da guida nell’estate 1840 in un lungo viaggio sulle Madonie alla ricerca di «piante rare e peregrine», come il grande botanico ebbe poi modo di ricordare più tardi nelle sue memorie. L’anno precedente, nel 1839, il M. aveva conseguito la laurea in medicina e si era iscritto all’Università di Napoli, dove nel 1843 conseguì la specializzazione in chirurgia. Fatto ritorno a Castelbuono si dedicò intensamente alla professione di medico, ma trovò anche il tempo per compiere numerose opere di filantropia e coltivare con pari intensità le scienze naturali, in particolare la botanica e la zoologia, supportata dagli insegnamenti appresi nell’orto botanico di Palermo e nel laboratorio di zoologia dell’Università di Napoli, alla scuola rispettivamente di V. Tineo e O.G. Costa, autore della monumentale Paleontologia del Regno di Napoli (Napoli 1854-56): maestri dei quali fu assiduo corrispondente, così come del grande botanico G. Gussone – impegnato a Napoli nella raccolta di un’enorme mole di dati sulla flora dell’Italia meridionale, dopo avere fondato e diretto l’orto sperimentale di Boccadifalco presso Palermo (1817-27) – e di Parlatore, che intanto era stato chiamato a Firenze sulla cattedra di botanica. Sino alla morte il M. lasciò il paese natio solo per brevi viaggi. La successione di A. Todaro sulla cattedra di botanica e nella direzione dell’orto botanico palermitano, vacanti dal 1856 con la morte di Tineo, gli avrebbe consentito di occuparne provvisoriamente il posto di dimostratore di botanica, fortemente ambito anche da altri, tra cui il barone A. Porcari. L’Università di Palermo accolse la sua richiesta e, per facilitargli la sistemazione in città, gli assegnò addirittura l’intero soldo, provocando il ricorso di Porcari, il quale lamentò tra l’altro la presentazione che ne aveva fatto Todaro come di «una celebrità nelle scienze naturali, noto al mondo letterario e scientifico, che parecchie piante andavano pregiate dal suo nome, che suppone abbia fatto dell’escursioni scientifiche e possegga un erbario delle piante che vegetano spontanee sulle Nebrodi» (Cancila). Il ricorso di un altro concorrente, disposto a prestare servizio gratuitamente, convinse la commissione suprema di Pubblica Istruzione a rigettare la proposta dell’Università a favore del M., con la motivazione che «non può aver luogo […] attesa la condizione di doverglisi pagare lo intero soldo, quando è ben conosciuto che a’ provvisori debbonsi corrispondere la metà solamente» (ibid.). Tuttavia, in attesa dei concorsi, la commissione non accettò le richieste degli altri concorrenti, lasciando il posto vacante. Todaro non esagerava nella sua presentazione: il M., ormai apprezzato a livello europeo per le sue ricerche, sarebbe stato certamente il candidato ideale, ma non era nelle condizioni finanziarie di trasferirsi a Palermo con la metà del soldo, abbandonando la professione di medico. Il M. continuò dunque a vivere nel paese natio, dove da tempo aveva intensificato l’esplorazione sistematica delle Madonie e la raccolta di un immenso materiale (piante, animali, fossili, utensili, ecc.) per documentarne non solo la flora e la fauna, ma anche la geologia, l’idrologia, il clima e l’etno-antropologia. Un preciso programma scientifico il M. aveva messo a punto già nell’opuscolo Introduzione alla storia naturale delle Madonie (Palermo 1844; rist. anast., Castelbuono 1999), nella ferma convinzione che le Madonie, «abbondanti di naturali produzioni» ma scarsamente conosciute, meritassero «un esame particolare ed una esatta descrizione» per, dopo «la conoscenza topografica di tutta quella vasta superficie, passare alla ricerca, ed alla classazione degli oggetti appartenenti a’ tre grandi regni della natura» (ibid., p. 4). Nell’indicare i «lavori di Storia Naturale da intraprendere», egli si rendeva conto «che non può essere l’opera di uno solo di portarla a termine, richiedesi che molti scienziati si cooperassero alla bisogna, ciascuno illustrando quel ramo di scienza che con genio coltiva» (ibid., p. 5). Per portare a termine le sue ricerche il M. si era avvalso della collaborazione di contadini e pastori del luogo, spesso suoi pazienti, che facevano a gara per fargli omaggio dei materiali curiusi in cui si imbattevano. La sua attività era a dir poco frenetica; tornava dalle escursioni carico di piante, insetti, molluschi, rettili, minerali, fossili, e di quant’altro di interesse naturalistico fosse caduto sotto i suoi occhi. Quindi essiccava, imbalsamava, disegnava, classificava ogni cosa per inserirla nelle collezioni. I campioni critici erano messi da parte per venire inviati agli specialisti. Nel caso di piante, non era raro che il M. spedisse i campioni dubbi a Tineo, a Gussone e a Parlatore, mentre le orchidee erano destinate a Todaro che le stava studiando approfonditamente. Le piante gli ritornavano con le relative annotazioni. Nello stesso modo procedeva con le altre collezioni (Mazzola, 1994, p. 187). Con mano esperta, spesso corredava i reperti di bellissimi disegni acquerellati (restano più di 400 tavole, di cui oltre 200 di vegetali e 191 di uccelli, rettili e anfibi), di una parte dei quali si attende da ultimo la pubblicazione a cura di P. Mazzola: costituiscono un materiale iconografico di grande valore perché realizzati «da uno spirito d’artista dotato di profonda conoscenza naturalistica e di tecnica da pittore consumato, [… e] compensa[no], almeno in parte, il danno della perdita di alcune collezioni come quella degli uccelli dei quali rimangono ormai pochissimi esemplari imbalsamati. L’iconografia è importante anche nei confronti di piante difficili da conservare come i funghi […]. Dieci tavole sono dedicate ai macrofunghi, e vi sono rappresentate circa 80 specie in gran parte inedite» (ibid., p. 188). Col trascorrere degli anni le collezioni (oggi parzialmente conservate nel museo dedicato al M. nella natia Castelbuono) si arricchirono sempre più di nuovi reperti, che con non comune generosità il M. mise – come si è detto – anche a disposizione di studiosi italiani e stranieri, grazie a periodiche spedizioni oppure in occasione delle loro frequenti visite a Castelbuono. Già nel 1842 i suoi dati erano utilizzati da Todaro; anche Gussone aveva cominciato a servirsene (1842-44), mentre Tineo qualche anno dopo gli dedicava una nuova specie di geranio, il geranium minae (1846). E altre specie (fra cui vegetali, molluschi fossili, insetti) gli dedicarono P.G. Strobl, M. Lojacono Pojero, P. Calcara, A. De Gregorio, C. Rondani, T. De Stefani, a dimostrazione di stima ma anche per riconoscere quanto le loro opere dovevano alle sue ricerche e ai reperti da lui forniti. Al solo Parlatore, impegnato nell’organizzazione dell’Erbario centrale italiano di Firenze da lui fondato, fece pervenire ben 1168 campioni; e al grande etnologo G. Pitrè fornì numerosissimi dati su usi, costumi, tradizioni, malattie, feste, proverbi del paese natio. Alla raccolta e classificazione del materiale il M. presto affiancò l’attività pubblicistica. La sua prima nota naturalistica è una segnalazione a P. Calcara Su un fagiuolo pietrificato rinvenuto sulle Madonie (in L’Osservatore. Giorn. scientifico letterario siciliano, I [1843], 5, pp. 134-137). Numerosi testi (403 sono le sue pubblicazioni) seguirono nell’arco della sua vita. Si spazia dall’ornitologia (Catalogo degli uccelli delle Madonie, in Atti della Acc. di scienze e lettere di Palermo, n.s., II [1853], pp. 1-32; III [1859], pp. 1-45, che portò molte correzioni alla Ornitologia siciliana di L. Benoit, Messina 1840) alla erpetologia (Prospetto degli studi di erpetologia in Sicilia, Palermo 1863) e dall’entomologia alla geologia (fondamentali gli studi su «piogge rosse» cadute a Castelbuono e soprattutto sui terremoti delle Madonie); dall’archeologia, per illustrare i numerosi reperti preistorici da lui scoperti, all’economia agraria. I suoi cataloghi dei mammiferi delle Madonie, nonché il Catalogo dei mammiferi della Sicilia (ibid. 1868) «formano – è stato scritto – il corpo principale delle nostre conoscenze teriologiche dell’isola nel passato prossimo e sono uno strumento insostituibile per quanti vogliano capire qualcosa del popolamento recente dei Mammiferi nell’isola» (Sarà, p. XIII). Il M. è stato considerato un pioniere, un apripista verso discipline naturalistiche ed evolutive che allora muovevano i primi passi in Europa e che partiranno in Italia solo secondariamente e tardivamente (ibid., p. XV). Oltre quelle citate, fra le opere vanno ricordate ancora: Notizie sui frassini di Sicilia e sulla coltivazione dell’amolleo in Castelbuono (Palermo 1847); la ricca Raccolta di proverbj agrarj (ibid. 1854; rist. anast., Sala Bolognese 1986 e Palermo 1999: per il centenario della morte, con una presentazione di P. Mazzola e note introduttive di F. Lo Piparo - G. Ruffino); Storia naturale delle Madonie. Catalogo con appendice dei lepidotteri diurni, in Atti dell’Acc. di scienze e lettere di Palermo, n.s., III (1859), pp. 1-26; Paletnologia sicula delle armi in pietra raccolte in Sicilia (Palermo 1869); Monografia botanica e agraria sulla coltivazione dei pistacchi in Sicilia (ibid. 1882); Materiali per una fauna lepidotterologica della Sicilia, in Il Naturalista siciliano, VIII (1888-89), 1, pp. 1-37; 2, pp. 29-37; 3, pp. 57-62; 4, pp. 81-89; 5, pp. 105-115; 6, pp. 129-140; 7, pp. 153-164; 8, pp. 181-194; 9, pp. 202-202; Rettili ed anfibi nebrodensiibid., IX (1889-90), 3, pp. 68-71; 4, pp. 91-95; 11, pp. 257-261; X (1890-91), 12, pp. 279-283; XI (1892), 5, pp. 114-120; 9-11, pp. 239-252; XII (1893-94), pp. 262-264; Bibliografia sicula di scienze naturali: cenniibid., XII (1893-94), 1-2, pp. 1-12; 5-6, pp. 13-20; 7, pp. 21-28. Il M. morì a Castelbuono il 12 marzo 1899. Fonti e Bibl.: È fondamentale la biografia di G. De Luca, F. M.P. Una vita tra umanità e scienza, pubblicata in 20 puntate nel quindicinale Le Madonie di Castelbuono dal 1° luglio 1990 al 15 giugno 1991. T. Fischer, Beiträge zur physischen Geographie der Mittelmeerländer besonders Siciliens, Leipzig 1877, passim; P.G. Strobl, Flora der Nebroden, in Flora, n.s., XXXVI (1878), pp. 3-558 passim; A. Beguinot, Il medico F. M.P. e le sue benemerenze nel campo della storia naturale e dell’agraria nella regione delle Madonie, in Atti della Acc. Peloritana dei Pericolanti, cl. di scienze fisiche e naturali, XXXI (1923), pp. 1-32; P. Mazzola, F. M.P. e il suo contributo alla conoscenza della storia naturale della Sicilia, in I naturalisti e la cultura scientifica siciliana nell’800. Atti del Convegno … 1984, a cura di G. Liotta, Palermo 1987, pp. 339-348; F.M. Raimondo, Stato delle conoscenze floristiche della Sicilia al 1987, in 100 anni di ricerche botaniche in Italia (1888-1988), a cura di F. Pedrotti, Firenze 1988, pp. 637-665; P. Mazzola - R. Schicchi - G. Venturella, La coltura dei frassini attraverso l’erbario di F. M.P., in Museologia scientifica, VII (1990), 3-4, pp. 259-273; P. Mazzola - G. Venturella, Il contributo di F. M.P. alle conoscenze micologiche siciliane, in Giorn. botanico italiano, CXXV (1991), 3, p. 253; P. Mazzola - F.M. Raimondo, Le piante nell’«Iconografia della storia naturale delle Madonie», opera inedita di F. M.P., in Webbia, XLVIII (1993), pp. 477-482; P. Mazzola, F. M.P., in Il Parco delle Madonie, Palermo 1994, pp. 185-193; P. Mazzola - F.M. Raimondo, Documenti per una storia dell’esplorazione floristica delle Madonie, in Giorn. botanico italiano, CXXX (1996), 4-6, p. 462; M. Sarà, Introduzione a F. Minà Palumbo, Catalogo dei mammiferi della Sicilia, Messina 1999, pp. IX-XVII; O. Cancila, Storia dell’Università di Palermo, Roma 2006, p. 639. O. Cancila